BEAUTY 2.0
Testo critico a cura di
Francesca Bogliolo
Emblema assoluto della privazione, la pelle di Bartolomeo pende nella Cappella Sistina dalla mano sinistra del santo, che con assoluta fierezza regge con la destra un coltello, simbolo del suo martirio. In quella stessa pelle, in cui sembrano affacciarsi precoci e antesignani elementi dell’espressionismo, è racchiusa l’insita necessità dell’uomo di guardare all’interiorità, scarnificando il reale per poter giungere all’essenza delle cose. In Bartolomeo, ci dicono le fonti, “Non c’è falsità”: la sua anima pare essere messa a nudo continuativamente, tanto in vita come in morte.
Allo stesso modo non c’è falsità nell’arte di Ivano Parolini, artista contemporaneo capace di osservare un mondo non percepibile dall’occhio, una dimensione in cui prevalgono l’emotività e l’introspezione, in cui il corpo possa finalmente abbandonare forma e materia per lasciar emergere il fluido vitale da cui è composto.
L’utilizzo non convenzionale di toni che virano verso l’opaco, stesi attraverso un gesto energico che libera un’emotività composta che tuttavia rivela toni esasperati, dichiara l’indiscussa abilità dell’artista nel vedere con gli occhi dello spirito, nel saper cogliere nella sua interezza l’inquietudine del vivere moderno, isolandolo nella sua perfetta e disarmante bellezza.
Parolini indaga l’esistere attraverso un atto artistico di intrinseca consapevolezza, portando alla luce stati emozionali estremi, normalmente celati nelle più segrete pieghe dell’interiorità, laddove si annidano i sentimenti più veri. Una taciturna solitudine li accoglie, isolandone i pensieri e accogliendone i frammenti, similmente a una madre che sappia regalare una vita nuova.
Il corpo, dimenticato, cancellato, perduto, oscurato, afferma il suo persistere attraverso la sua stessa negazione, che gli concede, per via di levare la sua essenziale identità. L’artista sembra essere capace, al pari di Helena Almeida nei suoi Inhabited Painting, di sfidare la superficie fisica della tela e di amalgamare abilmente pittura, fotografia e performance, per permettere al corpo di subire gli influssi della realtà, che inevitabilmente lo modificano senza sosta.
Il procedere secondo la logica dell’ Ubermalungen avvicina Parolini alla sensibilità poetica di Arnulf Rainer, con il quale condivide anche la veemenza del gesto; il linguaggio del corpo viene esplorato con perizia, i limiti mentali e spaziali superati: ciò che è normalmente invisibile diviene visibile, ciò che è finora ha taciuto urla. L’artista ha acquisito di per certo il concetto sostenuto da Mirò, secondo il quale “per diventare veramente un uomo bisogna liberarsi del proprio falso io “, della propria vecchia pelle. Non importa se le modelle, come nel caso di Kirchner, si chiamino Franzi o Marcella, o se assumano per noi sonorità più contemporanee: la loro essenza resta intatta, immutata, eterna, consegnata da Parolini alla logica di un tempo senza tempo, carica di indiscussa verità.